- page 68

Calcolare le Unità Pastorizzanti

in HOW TO

Tra i molti processi alimentari che coinvolgono l’utilizzo del calore, la pastorizzazione e la sterilizzazione, hanno un ruolo molto importante nella stabilizzazione di un alimento, sia dal punto di vista nutrizionale che microbiologico. Per valutare l’efficacia di tali processi su determinati prodotti alimentari infatti, viene spesso valutato il livello di degradazione di specifici nutrienti (vitamine, enzimi, …) e/o la riduzione nel numero di microrganismi (lieviti, batteri, …) presi come riferimento target. Come abbiamo visto qui, una valutazione matematica previsionale è possibile considerando i parametri D, z, F. Con modalità simili, si può valutare anche un altro parametro, le UP (o PUs, Pasteurization Units). 1 PU equivale ad una unità pastorizzante ed indica l’effetto di pastorizzazione che si ottiene mantenendo la temperatura di 60 °C per 1 minuto.

Risalente all’inizio degli anni 50 (Del Vecchio, 1951), il concetto di Unità Pastorizzanti è talvolta ancora utilizzato nel settore delle bevande pastorizzate in “tunnel” o con modalità “flash” (ad esempio, birra e succhi di frutta) e può quindi essere utile conoscerne le modalità di calcolo.

Nella produzione su larga scala di birra, considerando essere un prodotto contenente CO2, luppolo e alcool, 20120 PUs sono generalmente sufficienti a coprire l’intero range di valori per un efficace trattamento termico. Nel caso di alcune tipologie di birra pastorizzata con metodo “flash”, possono venire applicati trattamenti termici di 60 °C per 15 minuti (15 PUs), 71,5 °C per 20 secondi (15 PUs) o 72 °C per 30 secondi (26 PUs).

Anche se ogni singolo caso deve essere valutato in modo specifico e puntuale, in termini generali, nella pratica produttiva industriale delle bevande tipo birra e succhi vegetali da bere, e considerando gli scostamenti che il modello matematico può avere, l’applicazione di 120300 PUs possono essere ritenute adeguate nella maggior parte dei casi.

Il file che segue, ha lo scopo di dare alcune indicazioni sul concetto alla base del calcolo delle unità pastorizzanti e, conisderata la complessità dei sistemi alimentari, è sempre consigliato procedere con valutazioni e analisi approfondite prima di prendere qualsiasi decisione, soprattutto nel caso delle definizione della shelf-life o della previsione sulla stabilità microbiologica dei prodotti alimentari.

Calcolo Unità Pastorizzanti PUs

Fonti bibliografiche:

Engineering properties of food

in BOOKS/Research and Development

Giunto alla quarta edizione, Engineering properties of food (edito da M.A. Rao, Syed S.H. Rizvi, Ashim K. Datta e Jasim AhmedCRC PressTaylor and Francis), raccoglie numerose informazioni circa le proprietà chimiche, fisiche e biologiche degli alimenti correlate agli aspetti più pratici dell’ingegneria e tecnologia alimentare. Tematiche quali proprietà di superficie, termodinamica della disidratazione, proprietà termiche e proprietà dielettriche, sono trattate in maniera dettagliata anche negli aspetti matematici e, le numerose tabelle e grafici ne permettono la completa comprensione.

Energy drinks

in Cultures and Trends/WORLD

Insieme e cronologicamente successiva alla “sugar-levy“, la proposta per il divieto di vendita degli energy drinks agli adolescenti da parte del governo Inglese, rientra in un programma più ampio di politiche incluse nel “Childhood Obesity: a plan for action“, il piano che ha l’ambizioso obiettivo, entro il 2030, di dimezzare l’obesità infantile e di ridurne significatamente il divario attualmente esistente tra le aree meno e più svantaggiate.

Il divieto riguarderebbe le bevande con un contenuo di caffeina superiore ai 150 mg per litro anche se, questioni quali il limite di età al quale applicare la restrizione (16 o 18 anni), le caratteristiche nutrizionali delle bevande da limitare, e se la vendita debba essere proibita in ogni occasione (vending machines, convenience stores) o solo nella grande distribuzione, rimangono argomenti ancora aperti per il dibattito.

A favore di tale proposta, i dati esposti dal Governo Inglese indicano che:

  • più di 2/3 degli adolescenti tra i 10 e 17 anni e 1/4 di quelli tra i 6 e 9 anni, consumano energy drinks
  • 1 lattina da 250 ml può contenere anche 80 mg di caffeina
  • in media, gli energy drinks (esclusi quelli nella versione “light”, “zero”, “sugar free”, ecc.) contengono il 60% in più di calorie e il 65% in più di zucchero rispetto agli altri comuni soft-drinks

Il loro eccessivo consumo inoltre, è stato correlato a diverse problematiche di salute nei bambini, quali:

  • emicrania
  • insonnia
  • mal di stomaco
  • iperattività

A livello Europeo, con il Regolamento (UE) 1169/2011, qualcosa già è stato fatto in questa direzione, visto che le bevande con un contenuto di caffeina superiore ai 150 mg/l, sono considerate “con elevato tenore di caffeina” e devono riportare in etichetta la dicitura, “Elevato tenore di caffeina. Non raccomandato per i bambini e durante la gravidanza e l’allattamento“, seguita dal riferimento al contenuto di caffeina in mg per 100 ml.

Sul fronte anglosassone, sin dai primi mesi del 2018, i maggiori players del retail hanno già attuato su base volontaria e in via precauzionale, la sospensione della vendita degli energy drinks ai minori di 16 anni, anche se, spesso e in maniera diffusa, queste bevande sono disponibili in molti negozi anche a prezzi inferiori rispetto ad altre bevande, e questo limita l’efficacia della loro iniziativa.

Vedremo cosa accadrà dopo la chiusura del sondaggio pubblico e della consultazione governativa prevista per 21 novembre 2018.

 

Per approfondire:

Giordania

in Cultures and Trends/WORLD

Inserita nella regione storica della mezzaluna fertile, considerata anche la culla della civilità, la Giordania (Regno Hashemita di Giordania) è situata all’incrocio tra il continente Asiatico, Africano ed Europeo. Un Paese con circa 10 milioni di abitanti distribuiti in una superficie relativamente poco estesa (circa 89.000 km2), prevalentemente desertica e bagnata da 3 famose risorse idrologiche: il fiume Giordano, il lago Mar Morto ed il Mar Rosso.

Il punto più alto è invece identificato con il monte Jabal Umm Al Dami, collocato nella valle della luna, al confine con l’Arabia Saudita. Proprio in questa zona, il Wadi Rum, Lawrence T. d’Arabia, controverso tenente colonnello inglese, decise di insediare il proprio centro operativo e di guidare la rivolta araba contro l’impero Ottomano.

In questa splendida terra, circa 250 km a sud della capitale Amman, si trova anche una delle sette meraviglie del mondo moderno: il sito archeologico di Petra che, scoperto solo 2 secoli fa, attira milioni di visitatori da tutto il mondo ogni anno.

Più vicina alla capitale invece, c’è Madaba, quinta città più popolosa della Giordania, nominata la città dei mosaici dove, ancora oggi, i maestri artigiani danno vita ad opere artistiche di straordinaria precisione e accuratezza.

Proprio tra questi affascinanti luoghi della Giordania, un team di ricercatori dell’University of Copenhagen, University College London e University of Cambridge, ha trovato quelli che sembrano poter essere i resti del pane più antico del mondo, datato a circa 14400 anni (Archaeobotanical evidence reveals the origins of bread 14,400 years ago in northeastern Jordan).

Oggi, dopo migliaia di anni, è ancora molto presente l’utilizzo di cereali e di elementi base che  hanno fatto acquisire alla cucina Giordana una propria identità, arricchita anche dall’ibridazione dei sapori e dei gusti derivanti da quella Asiatica, Africana ed Europea.

Tra i piatti più famosi troviamo:

  • Hummus – onnipresente in tavola, impiegato come accompagnamento al pane, agli antipasti o ai piatti principali. Un prodotto gustoso che nella versione più semplice è a base di ceci frullati, pasta di sesamo (tahini), olio di oliva, succo di limone, aglio e sale
  • Mutabbal – una purea di melanzane grigliate dal piacevole sentore affumicato, arricchite nel gusto da olio di oliva, tahini, yogurt, aglio, prezzemolo e succo di limone. Una crema che, spesso in coppia con l’Hummus, anticipa i piatti principali accompagnando il pane o dei cracker
  • Labneh – dalla lavorazione dello yogurt, si ricava un “formaggio” dalla consistenza cremosa che ben si abbina al pane e ai sandwich a colazione ma anche a tutte le altre pietanze della cucina giordana. Semplificando, viene ottenuto facendo drenare il latte vaccino o di pecora fermentato, attraverso una garza ed un colino, per il tempo necessario ad ottenere la compattezza desiderata per poi essere arricchito con abbondante olio d’oliva. Questo prodotto, sia per ricettazione che per utilizzo, trova delle affinità con il tzatziki greco
  • Tabbouleh – insalata di pomodori, cipolla, olio di oliva, succo di limone, prezzemolo, menta e sale con bulgur o cous cous
  • Falafel – piccole sfere fritte in olio a base di ceci, fave, erbe aromatiche e spezie consumate come antipasto o uno snack. Tra i profumi e gli aromi caratterizzanti troviamo il coriandolo, il prezzemolo, l’aglio, la cipolla e il cumino
  • Manaqish – conisiderata la “pizza araba”, consiste in un impasto di pane schiacciato e cotto al forno, farcito in superficie con erbe aromatiche, olio di oliva, formaggio e talvolta uova o anche carne macinata
  • Shish kebab – tipicamente carne di agnello macinata, avvolta intorno ad uno spiedino cotto alla brace accompagnato da cipolle, peperoni e pomodori grigliati. La variante con carne di pollo (in spiedino ma non macinata) è altrettanto diffusa
  • Mansaf – considerato il piatto nazionale è servito nelle occasioni celebrative importanti o in presenza di ospiti illustri o consdierati tali. Tenera carne di montone guarnita con mandorle e pinoli tostati e una salsa di yogurt acido, il tutto accompagnato da riso (o bulgur) e dal tipico pane giordano (shrak). A conferire particolari note aromatiche contribuiscono il cardamomo, la curcuma, il cumino, i chiodi di garofano e lo Jameed (yogurt disidratato a base di latte di capra)
  • Maqluba – letteralmente il significato indica “sotto-sopra”, “rovesciato”. Proprio la padella utilizzata per la cottura, è quella che viene rivoltata su grandi piatti prima di consumare questa pietanza a base di riso, carne di agnello e/o pollo, verdure, spezie, mandorle e pinoli tostati o fritti
  • Zarb – piatto tipico beduinio a base di carne di pollo e/o agnello e verdure cotte (patate, cipolle, zucchine, peperoni) con un sistema tanto antico quanto originale. La cottura alla brace avviene su griglie sovrapposte riposte in buce cilindriche e profonde in media 1.5 metri e chiuse da un coperchio dal diametro di 60-80 centimetri. Tempi lunghi, diffusione del calore e dei profumi, permettono di ottenere un cibo partcolarmente gustoso
  • Barazek – tradizionali biscotti medio-orientali a base di farina, burro chiarificato, miele, zucchero, semi di sesamo, mandorle e/o pistacchi

Per mitigare il calore dei mesi più caldi, oltre all’acqua aromatizzata con foglie di menta e succo di limone, sono diffusi i centrifugati di frutta (melograno, limone, arancia e anguria) e, soprattutto nel deserto, il caldo con foglie di menta è un rito. La birra industriale è distribuita in maniera piuttosto ampia, meno quella di tipo artigianale. Sul fronte vitivinicolo, relativamente alle poche decine di migliaia di ettari vitati, da citare la presenza in espansione di: Cabernet sauvignon, Shiraz, Malbec, Pinot nero, Merlot, Pinot grigioChardonnay e TempranilloNota: nelle aree pubbliche di tutto il Paese, l’assunzione di alcol è vietata così come disapprovata la manifestata ubriachezza.

Numerose le piante da frutto selvatiche e, in partcolar modo nelle zone desertiche, diffuse le erbe e gli arbusti spontanei utilizzati nella medicina popolare e in ambito sperimentale per l’estrazione di composti bioattivi.

Un luogo magico da esplorare e da vivere appieno, godendosi i maestosi paesaggi, le notti stellate e ogni singola alba.

Un grazie di cuore ai temerari e speciali compagni di viaggio con i quali ho condiviso momenti indimenticabili: Agnese, Cinzia, Claudia, Fabio, Jacopo, Luana, Marta P., Marta R., Massimo, Mohammed, Patricia, Paola, Pierangelo, Raffaella, Silvia e Simona.

Vegetarianismo – II parte

in Cultures and Trends/WORLD

Nell’ambito del vegetarianismo, l’adozione della “dieta vegana” sembra essere divenuta molto più comune che in passato e, complici forse alcune star del mondo dello spettacolo, le più famose piattaforme social, numerosi prodotti e pubblicità, la si è resa più visibile, diffusa e accettata. Rispetto ad altri stili alimentari, le ricerche scientifiche e la bibliografia realtivi alla dieta vegana sono meno numerose, al contrario delle opinioni in materia che si alternano copiosamente tra sostenitori ed oppositori.

È riconosciuto che una dieta come quella vegana, totalmente priva di alimenti di origine animale, può portare, se non attentamente e professionalmente seguita, ad alcune deficienze individuali relative a macro e micronutrienti (proteine, acidi grassi n-3, vitamina B12, vitamina D, ferro, zinco, calcio, iodio), meno frequenti, ad esempio, negli onnivori. Al contrario degli onnivori invece, chi segue una dieta vegana, sembra avere un introito maggiore di carboidrati, fibre antiossidanti e fito-composti bioattivi.

Considerando le proteine di origine vegetale, lisina, metionina, isoleucina, treonina e triptofano sono esempi di aminoacidi limitanti tra i quali, la lisina sembra essere la più comune, soprattutto se si considera una dieta principalmente a base di cereali. Una compensazione può comunque essere possibile, ad esempio, consumando soia e lenticchie che insieme aii semi, le noci e i legumi, sono fonti importanti di aminoacidi e proteine. Ad oggi, sono disponibili anche come miscele o integratori da utilizzare tal quali o come ingredienti nelle proprie ricette: nocciole, mandorle, semi di lino, semi di zucca, proteine di pisello, proteine di soia, proteine di riso e proteine di canapa sono solo alcuni esempi.

Le aziende produttrici di alimenti, anche considerando le peculiari esigenze di vegetariani (pesco-vegetariani, latto-ovo-vegetariani, latto-vegetariani) e vegani, sono alla continua ricerca di nuove formulazioni e ricettazioni per soddisfare la parallela crescente richiesta di prodotti in linea con i principi del vegetarianismo. La Cina e gli Stati Uniti sono due tra i più importanti mercati al mondo e tra i prodotti più popolari possiamo citare le bevande alternative al latte (dairy alternatives), e tra i più consumati ci sono i “latti” di soia, riso e mandorla. Per quest’ultimo il valore di mercato si prevede possa superare i 5 miliardi di dollari entro il 2024. Numerose le ricerche e i sondaggi che indicano come ci sia, da parte più di un quarto dei millenials Americani, una generale tendenza a considerare “vegano” sinonimo di “sano” oltre che un importante attributo per l’acquisto di un prodotto alimentare. Sul fronte Britannico, il numero dei vegani sembra avere raggiunto quota 550.000, numero quadriplicato negli ultimi 10 anni e i più famosi marchi della distribuzione (Sainsubry’s, ASDA, Morrisons, TESCO, M&S, ALDI, Waitrose, Ocado, Iceland, CO-OP) e del fast-food (Nando’s, Pret a manger, Wagamama, Zizzi, Pizza Express, ASK)  conferma della crescente domanda in questo segmento, hanno introdotto a scaffale o nei menù numerose referenze”vegetarian – vegan friendly“.

Tra tutti, c’è anche chi si distingue rivalorizzando, in chiave moderna, il mestiere del “lattaio porta a porta”. Mylkman, che produce e consegna nella classica bottiglia di vetro riutilizzabile, diversi tipi di bevande vegetali a base di mandorle, anacardi, cocco e avena che, soli o in combinazione ad alcune spezie, coferiscono una nota caratterizzanete a questi prodotti.

Destreggiarsi tra prodotti vegetarian, vegan e non, è un’impresa piuttosto ardua. L’etichettatura, al momento ancora su base volontaria, è piuttosto articolata, sia in Europa che nel resto del mondo. Diversi infatti sono i simboli che nel tempo si sono alternati, giungendo comunque ad un numero abbastanza ristretto.

Tra i più famosi quelli approvati da:

Nel prossimo futuro, anche a seguito di una famosa sentenza e di un altrettanto conosciuto amendment, sembra ci possa essere concreto spazio per una revisione ed un aggiornamento globale della normativa in tema di etichettatura al fine di fare chiarezza sia sulla definizione di “vegetariano” che di “vegano“.

Link bibliografici e di approfondimento sull’argomento:

 

Disclaimer: i collegamenti web esterni al sito FOOD in progress sono forniti a solo scopo esemplificativo ed illustrativo. In nessun modo FOOD in progress è correlato al loro contenuto e alle aziende in essi menzionate.

Calcolare la densità di un alimento

in HOW TO

La densità di un ingrediente, un semilavorato o più in generale di alimento, è un parametro molto importante nel definire lo sviluppo o l’ottimizzazione di un prodotto o di un processo come può essere nelle operazioni di separazione, centrifugazione, miscelazione e sedimentazione.

In linea generale e con qualche approssimazione, la densità di un corpo può essere definita come il rapporto esistente tra la massa e il volume da essa occupato ad una dato valore di temperatura e di pressione. La densità viene identificata con la lettera greca ρ (rho) e nel sistema internazionale (SI), l’unità di misura è il kg/m3 (si utilizza spesso anche il g/cm3).

Riferendoci al calcolo della densità di sistemi complessi quali sono quelli alimentari, con la possibile presenza simultanea di componenti solide, liquide e aeriformi, la definizione riportata risulta essere limitante.

Come calcolare allora la densità di un alimento?

Si può fare riferimento al modello matematico proposto da Choi e Okos (1986), che, presentando comunque alcune limitazioni rispetto ai più sofisticati metodi analitici strumentali, ha il vantaggio di essere rapido, economico e di adattarsi bene a molti alimenti.

Con il foglio di calcolo allegato, è possibile stimare la true density di un prodotto alimentare ad una data temperatura, considerando la densità dei singoli componenti (acqua, proteine, grassi, carboidrati, fibre e ceneri), assumendo assenza di porosità e di acqua congelata, conservazione di massa e di volume. Per altri sistemi alimentari, quali ad esempio quelli congelati, sottoposti a diverse pressioni, per le polveri e i granulati, è necessario considerare altri modelli matematici che verranno presentati in altri post di questa sezione.


Nota
: i fogli “database” e “temperature” si possono integrare con i dati di proprio interesse.

Carragenina

in DICTIONARY/E numbers

Carragenina (Ita), Carrageenan (Eng), Carraghénanes (Fra), Carragenanos (Esp), Carrageen (Deu).

Categoria funzionale: addensante, stabilizzante, gelificante, agente emulsionante, agente di sospensione.

Numero E: 407 (E407a, alghe eucheuma trasformate).

Numero CAS: [9000-07-1] (carragenina), [9062-07-1] (i-carragenina), [11114-20-8] (k-carragenina); [9064-57-7] (l-carragenina).

Peso Molecolare: 200-800 (kDa, intervallo medio per il “food-grade”)

Forma: polvere fine inodore, insapore e di colore variabile dal bianco, bianco-avorio al giallo-beige.

Densità media (tapped, g/cm3): 0,67 – 0,77

Solubilità: insolubile in alcol, ha ottima solubilità in acqua a temperature comprese tra i 70-72 e gli 80-82 °C. In acqua, alla temperatura di 20 °C, solubilizzano bene la lambda-carragenina e i sali di sodio della cappa e iota-carragenina.

pH soluzione acquosa (1,5% p/v): 8,0 – 11,0.

Produzione: quando si parla di carragenina, in relatà si fa riferimento ad un gruppo più ampio di polisaccaridi derivati da alghe rosse appartenenti alla classe delle Rhodophyceae. Si identificano principalmente 3 tipologie di carragenina, cappa (k-), iota (i-) e lambda (l-) che tra loro si differenziano per il numero e la localizzazione dei gruppi solfato e dal legame che unisce i singoli monomeri. Sono ottenute per estrazione acquosa in condizioni leggermente alcaline con successivi lavaggi prima della loro chiarificazione (“freeze-thaw”, centrifugazione, ..), concentrazione, precipitazione (alcol o KCl), essiccazione e macinazione. Gli estratti sono costituiti da solfato esteri di potassio, sodio, magnesio, calcio e ammonio con Dgalattosio e 3,6anidroDgalattosio. A livello industriale, sono due le importanti spp. di alghe impiegate per l’estrazione di carragenina: Eucheuma e Chondrus (Irish moss). Dalla prima si estraggono importanti quantità di k– e i-carragenina, mentre dalla seconda, di k– e l-carragenina. Commercialmente, si trovano spessp miscele di carragenina (k-, i- e l-) standardizzate con saccarosio, destrosio o sciroppo di glucosio disidratato. Rispetto alle carragenine pure, le alghe eucheuma trasformate (E407a) sono leggermente diverse dal punto chimico-strutturale e contengono una significativa quantità di cellulosa. Spesso sono indicate con l’acronimo PSE (processed eucheuma seaweed) e il processo produttivo che porta alla loro estrazione è generalmente meno complesso rispetto a quello usato per ottenere le carragenine pure. Schematicamente si possono idenficare con il taglio grossolano delle alghe e con successivi lavaggi in acqua alcalina prima dell’essiccazione, macinazione e standardizzazione. Il loro prezzo di acquisto è solitamente inferiore a quello delle carragenine pure e, considerata la loro buona funzionalità se pur con alcune limitazioni, possono essere una valida alternativa per sostituire in parte o completamente queste ultime in determinate formulazioni.

Impiego: la carragenina è un ingrediente che trova applicazione in numerose categorie di prodotto, sia in ambito farmaceutico, cosmetico che alimentare. E’ impiegata come stabilizzante in emulsioni e sospensioni a base di latte, cioccolato e caffè, nei creamers, nelle margarine, nei gelati, sorbetti e dessert, nella formulazione di soft cheese, formaggi spalmabili e anche nei prodotti da forno per ritardare la retogradazione dell’amido. Ha trovato impiego anche nei processi per la micro-incapsulazione di proteine e di batteri probiotici. Alcune tipologie di gomme e compresse masticabili, sono state sviluppate impiegando lamda-carragenina come additivo funzionale per il controllo del rilascio di alcuni principi attivi. Le carragenine sono stabili a pH alcalini, a 8,09,trovano il loro optimum, mentre a pH acidi, inferiori a 3,84,0 vanno incontro a fenomeni idrolitici che le destabilizzano facendone perdere le proprietà fisiche principali. Trattamenti termici prolungati nel tempo e carenza di cationi, agiscono negativamente sulle proprietà viscosizzanti, gelificanti e stabilizzanti.

* kcarragenina: in soluzione acquosa è completamente solubile a caldo. E’ particolamente reattiva con le proteine, quali caseine e siero-proteine, e tale proprietà viene utilizzata efficacemente per stabilizzare i prodotti a base di latte (bevande, latte condensato,..) ed evitarne la separazione nel tempo. In questo caso sono generalmente sufficienti dosi di impiego comprese tra 0,01 e 0,25% e, se presente polvere di cacao, dosaggi pari allo 0,020,05% sono un valido aiuto per mantenere omogenea la sospensione. L’affinità per le proteine ne permette la potenziale applicazione anche per la chiarifica di succhi, vino e birra. Per la sua gelificazione è necessaria la presenza di cationi, in particolate di ioni potassio (K+). Il gel formato risulta essere particolarmente rigido (bassa resistenza alla trazione) e termo-reversibile. I gel di k-carragenina non sono stabili a cicli “freezethaw” (congelamento e scongelamento) e possono presentare sineresi. La k-carragenina agisce in sinergia con la farina di semi di carrube e la gomma konjac (E425(i)) permettendo di ottenere soluzioni acquose con particolari caratteristiche reologiche. Combinazioni di k-carragenina e farina di semi di carrube sono impiegate nella formulazione di glasse per torte (anche vegane, in sostituzione alla gelatina animale) con interessanti proprietà elastiche e coesive.

* icarragenina: in soluzione acquosa è completamente solubile a caldo. Come la k-carragenina è molto reattiva con le proteine del latte e, a differenza di questa, in presenza di ioni calcio (Ca2+) forma fluidi tissotropici, gel più morbidi ed elastici e con ridotta o nulla sineresi. La termo-reversibilità del gel è caratteristica comune alla precedente. Dosi di impiego frequenti sono comprese tra lo 0,4 e lo 0,6%. Spcifici dosaggi di i-carragenina e k-carragenina sono impiegati per ottenere miscele con proprietà reologiche intermedie delle due frazioni. In associazione con l’amido è utilizzata per conferire corpo a diverse tipologie di dessert a cucchiaio.

* lcarragenina: solubile a freddo, non forma gel. Dosaggi compresi tra lo 0,6 e lo 0,8% sono impiegati per ottenere soluzioni con un effetto addensante e di corposità appropriati nei prodotti specificatamente formulati. Quando utilizzata in combinazione con il stearoil2lattilato di sodio (SSL) (E481), si evidenzia una particolare  interazione non ottenibile combinando la carragenina k– o i– e altri emulsionanti quali, ad esempio, i mono–  e digliceridi degli acidi grassi (E471). La sinergia tra l-carragenina e SSL permettere di ottenere emulsioni particolarmente stabili sia “a caldo” che “a freddo”.

Limitazioni nel dosaggio d’impiego (dal Regolamento (UE) 1129/2011) a seconda dei casi nella misura dei mg/kg o mg/l, seguono alcune indicazioni sui livelli massimi d’impiego consentiti. 01.5 latte disidratato, quale definito nella direttiva 2001/114/CE01.6.1 panna o crema di latte pastorizzata non aromatizzata (tranne panna a ridotto tenore di grassi). 01.6.2 prodotti a base di panna o crema di latte pastorizzata non aromatizzata, ottenuti con fermentati lattice vivi, e loro succedanea, con tenore di grassi inferior al 20%. 04.2.5.2 confetture, gelatine e marmellate di frutta e crema di marroni, quale definite dalla direttiva 2001/113/CE, 10000 (livello massimo per la singola sostanza o in combinazione con E400 – 404, E406, E407, E410, E412, E415 ed E418). 04.2.5.3 altre creme da spalmare analoghe a base di frutta e ortaggi. 05.2 altri prodotti di confetteria, compresi I microconfetti per rinfrescare l’alito11.4.1 edulcolarnti da tavola in forma liquida11.4.2 edulcoranti da tavola in polvere. 13.1.2 alimenti di proseguimento, quali definiti dalla direttiva 2006/141/CE300. 13.1.4 altri alimentu per bambini nella prima infanzia, 300.

Limitazioni nel dosaggio d’impiego (dal Regolamento (UE) 1130/2011), quantum satis come coadiuvante negli additivi alimentari; aditivi alimentari, compresicoadiuvanti; additivi alimentari nei nutrienti.

Rappresentare un profilo sensoriale

in HOW TO

Sempre più spesso capita di vedere impresso sul packaging o sulla documentazione tecnica a supporto di un prodotto alimentare, dei grafici che evidenziano alcuni descrittori e il loro livello di intensità associati a tale materia prima, alimento o bevanda, al fine di valorizzarne alcune determinate caratteristiche. Questi grafici a “radar“, detti anche “spider plot” o “ragnatela“, oltre a dare informazioni aggiuntive, possono essere utili anche per finalizzare e rendere facilmente fruibili i dati derivanti da una sessione di assaggio effettuata tanto per il controllo qualità che per passione.

Senza entrare nei dettagli delle varie metodologie (confronto a coppie, duo-trio, ecc.) e dei modelli statistici applicati alla scienza sensoriale (ANOVA, LSD, ecc.), abbiamo reso disponibile un foglio di calcolo che, a fronte dell’inserimento di alcuni dati, genera uno spider plot utile per visualizzare, confrontare e valutare numericamente tra loro i descrittori caratteristici di uno o più prodotti.

Nel caso specifico, abbiamo riportato generali descrittori relativi ad un gelato base, tipo latte-crema-vaniglia. Il layout è stato sviluppato ipotizzando di voler sottoporre a 6 assaggiatori (“tester“) 3 prodotti al fine di poter valutare, ad esempio, formulazioni alternative per lo sviluppo di un prodotto me-too o il mantenimento di alcune caratteristiche durante la conservazione:

  • prodotto di riferimento (“reference“), del quale sono stati preventivamente definiti i descrittori e i valori ottimali ritenuti di riferimento per gli attributi sensoriali in esame;
  • campione 1 (“sample 1“), test di confronto numero uno
  • campione 2 (“sample 2“), test di confronto numero due

Oggetto della valutazione:

  • gusto-aroma (“flavour“);
  • struttura (“texture“);
  • aspetto visivo (“colour” e “appearence“);
  • preferenza globale (“preference“), non ripotata nel grafico.

Il file, essendo libero da vincoli, è comunque modificabile a proprio piacimento sia nella forma che nel contenuto, considerando con maggiore dettaglio il proprio prodotto e gli specifici descrittori individuati.

Le sheets, che troverete precompilate con dati numerici casuali al solo fine esemplificativo, sono così suddivise:

  • 0: è il foglio di riferimento per il layout generale, per la creazione dei campi e per l’inserimento sia dei valori di riferimento che dei descrittori. Una volta definiti i parametri, questi si ripeteranno su tutti i fogli successivi. Nota 1: alle caselle di sfondo grigio sono associati i valori che, una volta inseriti, si ripeteranno nei fogli successivi. Nota 2: nell’esempio, l’intervallo di valutazione (“evaluation range“) va da 0 = intensità percepita come nulla, a 10 = intensità percepita come massima.
  • 16: ciascuno foglio è dedicato all’inserimento dei dati espressi dai giudici.
  • final_average: è il foglio che riassume, sotto forma di media numerica e grafica, i dati riportati nei 6 fogli precedenti. Ad ogni singolo descrittore è stata inoltre associata una linea di tendenza (“trend“) così da poter visualizzare graficamente il loro andamento medio. Qui potete vedere un’anteprima del risultato.

Lo spazio riservato alle note (“notes“) può essere utilizzato per dettagliare alcune valutazioni o appuntare considerazioni relative ai singoli prodotti.

Buon assaggio! 😉

Il file è disponibile qui e qualora fossero presenti delle imperfezioni, grazie in anticipo per ogni segnalazione utile ad apportare le modifiche necessarie.

Per chi volesse approfondire il complesso mondo della valutazione sensoriale applicata al mondo del food and beverage, a seguire può trovare i link ad alcuni articoli sull’argomento:

Vai a Top