Dell’argomento si è scritto qualcosa prima qui e poi qui introducendo le nozioni alla base di questa importante area in ambito industriale. Riprendiamo ora in modo più dettagliato quanto detto su pastorizzazione e sterilizzazione dicendo che il primo processo, generalmente condotto al di sotto dei 100 °C per un tempo variabile da qualche secondo a diverse decine di minuti in funzione della tecnologia utilizzata e delle caratteristiche chimiche e fisiche dell’alimento, è spesso impiegato per inattivare gli enzimi ed ottenere la distruzione dei microrganismi patogeni sensibili al calore; il secondo menzionato, con temperature maggiori di 100 °C, viene utilizzo per distruggere ragionevolmente sia tutti i microrganismi patogeni che inattivare gli enzimi. Semplificando, ma non troppo, la pastorizzazione può essere indicata come un trattamento “stabilizzante” mentre la sterilizzazione, di “sanitizzazione“.
Quindi, come scegliere se attuare uno o l’altro trattamento? E’ difficile dare una risposta precisa ed univoca e in questi post non potremmo nemmeno fare una esauriente trattazione tanto vasta e delicata si presenta la questione. Ad ogni modo riteniamo sia inevitabile iniziare a parlare un po’ di microbiologia come fatto qui in quanto materia strettamente associata ai trattamenti termici appena descritti. Così come l’aw (attività dell’acqua) è un parametro fondamentale per il controllo dello sviluppo microbico e la stabilità degli alimenti, anche il pH (grado di acidità) è fattore determinante per la conservazione di un alimento e per decidere, insieme a molti altri attributi, se procedere con una pastorizzazione o una sterilizzazione. Dunque, da un punto di vista didattico, semplificato e soggettivo, potremmo suddividere gli alimenti in funzione della loro aw e del loro pH:
In questa prima tabella sono stati espressi in via generale ed esemplificativa i valori di pH e aw associati ad alcuni alimenti. Questa suddivisione permette una prima classificazione atta ad inquadrare eventuali caratteristiche del sistema alimentare ed impostare correttamente il processo da applicare dato che ogni “categoria” ha delle proprie caratteristiche che possono favorire o sfavorire lo sviluppo microbico. Valori di aw > 0,95 e pH > di 4,5 sono condizioni favorevoli a moltissimi microrganismi patogeni ed alterativi. Valori inferiori a 0,85 per l’attività dell’acqua e pH acidi, inferiori a 4 sono invece condizioni sfavorevoli almeno per i patogeni.
Dalla bibliografia più o meno recente si possono estrapolare alcuni dati medi di riferimento per la temperatura ottimale, il pH e l’aw minima per la crescita e lo sviluppo di alcuni microrganismi patogeni (e non) che possono ritrovarsi negli alimenti. Alcuni dei dati in questione sono stati riportati nella tabella immediatamente sopra mentre in quella che segue sono visibili quelli relativi a D (decimal reduction time, secondi) e z (thermal resistance constant, °C) relativi ad alcuni patogeni.
Questi due parametri, D e z appunto, sono di grande importanza nel determinare la “resistenza termica” associata ad un microorganismo (o ad un enzima, una vitamina, ecc..) e quali possano essere le combinazioni di tempo e temperatura da applicare in un processo affinché si possa ottenere un equivalente trattamento termico.
Con riferimento all’ambito microbiologico, D indica il tempo necessario ad uccidere il 90% della popolazione batterica ad una specifica temperatura. Ad esempio, considerando la forma vegetativa di Bacillus cereus, il “D60 = 60” ci dice che in un sistema ideale è necessario un trattamento termico a 60 °C per 60 secondi per ridurre del 90% la sua popolazione iniziale il che, più nello specifico, significa che se in un alimento sono presenti ipoteticamente 1000 cellule vegetative di Bacillus cereus, dovremmo scaldare l’alimento per almeno 1 minuto a 60 °C per ridurre il loro numero a 100. Con due o tre minuti di trattamento alla stessa temperatura si vedrebbe scendere questo numero prima a 10 e poi a 1.
z misura invece l’aumento della temperatura necessaria per determinare una riduzione pari al 90% del tempo di riduzione decimale (D). Il significato risulta forse più facile da introdurre con una domanda: considerando lo o stesso sistema ideale con medesimo ceppo batterico, uguale numero di cellule vegetative presenti e “z = 7“, quanti minuti di trattamento dovremmo applicare se il processo fosse condotto a 67 °C? Consideriamo D60 = 60 secondi avremo D67 = 6 secondi e quindi per passare da 1000 a 100 cellule dovremmo applicare per 6 secondi un calore pari a 67 °C. In 12 secondi a questa temperatura arriveremmo a 10 e in 18 secondi a 1 cellula.
Nei prossimi post vedremo altri esempi ideali e cercheremo di entrare ancor più nel pratico con alcuni casi reali.
Let’s food together!